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LA VALUTAZIONE DEI RISCHI: UN PROCESSO DINAMICO E CONTINUO
L’obbligo posto in capo al datore di lavoro che prevede la valutazione di tutti i rischi (artt. 17, 28 e 29 del D.Lgs 81/08) non di rado viene percepito dal soggetto obbligato come un inutile adempimento formale.
In molti casi il documento di valutazione dei rischi finisce per rappresentare una fotografia istantanea della condizione aziendale, il cui obiettivo pare più orientato a dimostrare l’adempimento alla prescrizione normativa piuttosto che a costituire un documento di pianificazione per garantire la sicurezza dei lavoratori.
Per questo motivo in caso di infortunio sul lavoro, in molti casi, si deve registrare che il documento di valutazione dei rischi non esamina l’operazione lavorativa che ha condotto all’evento oppure lo esamina in termini talmente generici da non incidere sulla dinamica dell’incidente.
La valutazione dei rischi è un processo dinamico, o perlomeno dovrebbe esserlo, ma per raggiungere questo risultato è necessario che preveda degli strumenti di gestione o se si preferisce delle procedure che consentano di gestire la quotidianità delle esigenze aziendali.
La semplice redazione di un documento di valutazione dei rischi, magari affidata ad un consulente esterno, che pur esperto di sicurezza non conosce tutte le dinamiche della realtà aziendale, finisce per essere inadeguata rispetto all’esigenza di realizzare condizioni di prevenzione in azienda. A ben vedere molte aziende dovrebbero, in base alle sempre più frequenti modifiche organizzative e alle esigenze di flessibilità produttiva, aggiornare, con estrema frequenza, la propria valutazione dei rischi rivedendo il DVR, il DUVRI, e a cascata i protocolli sanitari i programmi di formazione e addestramento, ecc. Un impegno titanico, che spesso e volentieri, viene dimenticato. Ancora poche sono le aziende che hanno adottato modelli di organizzazione e gestione della sicurezza e li adottano concretamente.
Un caso paradigmatico affrontato da Cassazione Penale, Sez. 4, nella Sentenza 13 maggio 2016, n. 20056 riguarda l’infortunio occorso ad un lavoratore che “stava ripulendo il piano destinato all'appoggio di una fresa meccanica quando a causa della rottura di una braga che sosteneva l'apparecchiatura questa gli cadeva sulla mano destra determinandogli lesioni guarite in oltre quaranta giorni”. Al datore di lavoro veniva “ascritto di non aver impartito specifiche istruzioni al lavoratore e di non aver provveduto alla elaborazione della valutazione dei rischi, identificandosi tali violazioni alla normativa prevenzionistica quali antecedenti causalmente efficienti rispetto all'evento verificatosi” e le Corti di merito affermavano la sua penale responsabilità. Il datore di lavoro ricorreva per Cassazione deducendo vizio motivazionale in relazione al ruolo causale della incompletezza del documento di valutazione del rischio, rilevando che stante l'estemporaneità della movimentazione del macchinario egli aveva ritenuto correttamente di provvedere a dare istruzioni direttamente ai lavoratori anziché inserirle all'interno del DVR.
Si tratta di un comportamento assai comune e probabilmente condiviso dalla maggioranza dei datori di lavoro. Ma questo modo di agire mette in evidenza il distacco attualmente esistente tra i documenti di valutazione dei rischi e la pratica aziendale. A ben vedere le dinamiche aziendali sono zeppe di lavorazioni “estemporanee” come quella portata all’attenzione della Corte di Cassazione, se dunque si ammettesse che in tali casi non è necessaria una specifica valutazione del rischio si svuoterebbe di significato l’obbligo previsto dalla Direttiva 391/89 e recepito per la prima volta in Italia dal D.Lgs 626/94. In pratica, ciò significherebbe un ritorno alle norme degli anni 50, d’altra parte in relazione al caso analizzato dalla Suprema Corte le norme del DPR 547/55 già imponevano il divieto di “passaggio dei carichi sospesi sopra i lavoratori e sopra i luoghi per i quali la eventuale caduta del carico può costituire pericolo”.
La Corte di Cassazione, con la sentenza presa in esame, invece ribadisce che “la valutazione dei rischi e la elaborazione di apposito documento costituisce, senza dubbio alcuno, un passaggio fondamentale per la prevenzione degli infortuni e la tutela della salute dei lavoratori”. Ovviamente non può essere affermata una causalità di principio e quindi l’omessa o inadeguata valutazione dei rischi non costituisce automaticamente causa dell’infortunio. Al contrario, il rapporto di causalità tra l’omissione e l’evento deve essere “accertato in concreto rapportando gli effetti indagati e accertati della omissione, all'evento che si è concretizzato” .
Secondo tale principio la Corte di Cassazione, nell’analisi del caso specifico, ha ritenuto che il giudice territoriale abbia evidenziato che non veniva richiesto di “prevedere in che modo movimentare l'apparecchiatura, ma piuttosto di analizzare le complessive attività di installazione di una fresa (come quella di specie) di particolari dimensioni, e quindi di svolgere una valutazione comprensiva delle modalità di gestione della movimentazione”. Ciò avrebbe consentito di identificare che nel caso di specie il mezzo di sollevamento utilizzato era inappropriato. Per i supremi giudici non si trattava quindi di dare istruzioni operative ma di conformare in diverso modo l'intera operazione, tanto in relazione alle procedure da seguire che alle attrezzature da utilizzare.
Esemplare è il giudizio che la Corte fornisce in risposta alle doglianze dell’imputato: “L'affermazione dell'esponente secondo la quale la natura estemporanea dell'operazione rendeva le istruzioni dirette maggiormente efficienti sul piano della sicurezza del lavoro rispetto alla redazione del documento di valutazione dei rischi, che "avrebbe avuto maggiori difficoltà di essere raggiunto e percepito dai lavoratori incaricati di effettuare la lavorazione" chiaramente tradisce una posizione di principio che da un canto privilegia le ragioni della produzione (in particolare la tempistica) su quelle della definizione di sicure condizioni di lavoro e dall'altro contraddice la netta indicazione normativa per la decisività dell'analisi del rischio, per la progettazione del processo produttivo in modo che risponda non solo ad obiettivi economici ma anche alla miglior tutela possibile dei lavoratori, per la rilevanza dell'attività di partecipazione, informazione e formazione dei lavoratori a riguardo del sistema aziendale di gestione della sicurezza del lavoro.”
Sebbene l’evento infortunistico sia frequentemente il frutto di diverse concause, chi si difende tende a mettere in risalto il comportamento colposo del lavoratore con l’obiettivo di vederlo riconosciuto come causa esclusiva dell’evento, avente capacità interruttiva rispetto alle proprie omissioni colpose. Nel caso giudicato dalla Corte il lavoratore avrebbe inserito il braccio sotto un carico sospeso non rispettando le istruzioni ricevute, comportamento che la Corte di Appello, non ha ritenuto capace di interrompere il nesso di causalità tra le conseguenze della omessa valutazione "che hanno inciso, quanto meno in termini concausali” e l'evento.
Sul punto, oggetto di ricorso, la Corte di Cassazione porta nuovamente in evidenza il ruolo preventivo della valutazione chiarendo che “la complessa procedura che si incentra sulla valutazione dei rischi e che sfocia nell'adozione delle misure prevenzionistiche individuate come più idonee alla eliminazione o alla massima riduzione del rischio, avrebbe condotto nel caso di specie proprio a non utilizzare quel mezzo di sollevamento la cui inidoneità aveva causato la caduta della fresa, con l'effetto di una irrilevanza causale del comportamento della vittima, consistito nel porre la mano destra sotto la fresa per facilitarne la posa”.
Di conseguenza viene confermato che il comportamento del lavoratore pur ritenuto esso stesso colposo non è in grado di attrarre su di sé l'intero determinismo causale perché di certo non introduce un rischio che esorbita da quell'area di rischio il cui governo è affidato al datore di lavoro.
La sentenza nel rigettare il ricorso ci ricorda che la valutazione dei rischi e le conseguenti misure prevenzionistiche debbono essere intese ad evitare il verificarsi di infortuni sul lavoro anche quando il lavoratore operi con imprudenza, negligenza, e imperizia, potendosi assumere come causa esclusiva il comportamento dell’infortunato solo quando questo tragga origine da fattori non riconducibili all'organizzazione del lavoro intesa in senso lato.