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LA VALUTAZIONE DEI RISCHI E GLI OBBLIGHI DEL MEDICO COMPETENTE
La Corte di Cassazione torna ad occuparsi del medico competente ed in particolare dell’obbligo di cui all’articolo 25, comma 1, lettera a, del DLgs 81/08, posto a carico di tale figura.
Come noto incombe sul medico competente, l’obbligo di collaborare con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi.
Si tratta di un obbligo di estrema rilevanza per la ricaduta in termini preventivi, in particolare per l’analisi, valutazione e individuazione delle adeguate misure di governo dei rischi per la salute dei lavoratori. E’ evidente che il legislatore nel definire il processo di valutazione di tutti i rischi abbia voluto affiancare alla figura principale del datore di lavoro le figure specialistiche del servizio di prevenzione e protezione e del medico competente. Infatti se da un lato si deve riconoscere che il dominus del processo valutativo sia il datore di lavoro non ci si può nascondere la necessità che al processo stesso collaborino i soggetti della prevenzione aziendale che sono stati scelti proprio in base alle loro competenze specialistiche.
Purtroppo, non è raro che tale collaborazione sia di fatto inesistente o si limiti ad aspetti formali, senza penetrare le situazioni che richiederebbero un apporto specialistico di alto livello.
Alcuni medici competenti non hanno ben compreso la portata della norma contenuta nel D.Lgs 81/08 e sono rimasti ancorati all’impostazione della normativa previgente che relegava la figura del medico ad un ruolo perlopiù orientato all’effettuazione della sorveglianza sanitaria dei lavoratori. Occorre prendere atto che il D.Lgs 81/08, eleva la figura del medico competente ad un ruolo autonomo, destinatario di obblighi e di responsabilità, e ne amplia il campo d’azione, in particolare nell’ambito della valutazione dei rischi.
La Corte di Cassazione già il 15 gennaio 2013, con la sentenza n. 1856 si era occupata della responsabilità di un medico competente al quale era stato contestato di non aver collaborato con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione della sorveglianza sanitaria, all'attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori per la parte di competenza e alla organizzazione del servizio di primo soccorso considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro.
In quella occasione il medico attraverso il proprio difensore prospettava una lettura della norma secondo la quale “l'obbligo di redigere il documento di valutazione dei rischi ricade esclusivamente sul datore di lavoro ed il medico competente non potrebbe ad esso surrogarsi nell'adempimento, così che la responsabilità della mancata predisposizione del documento non potrebbe in nessun caso essere fatta ricadere sul medico competente”.
Tuttavia, la Corte di legittimità non ha ritenuto di condividere tale lettura affermando invece che al medico competente “non è affatto richiesto l'adempimento di un obbligo altrui quanto, piuttosto, lo svolgimento del proprio obbligo di collaborazione, espletabile anche mediante l'esauriente sottoposizione al datore di lavoro dei rilievi e delle proposte in materia dì valutazione dei rischi che coinvolgono le sue competenze professionali in materia sanitaria.”
Si legge inoltre nella sentenza che “L'espletamento di tali compiti da parte del "medico competente" comporta una effettiva integrazione nel contesto aziendale e non può essere limitato, ad avviso del Collegio, ad un ruolo meramente passivo in assenza di opportuna sollecitazione da parte del datore di lavoro, anche se il contributo propulsivo richiesto resta limitato alla specifica qualificazione professionale”
Dunque la responsabilità penale del medico competente pur rimanendo confinata “nella violazione dell'obbligo di collaborazione” questa non può ritenersi assolta con la semplice presa d’atto del documento di valutazione dei rischi o nell’intervento del medico competente su richiesta del datore di lavoro, ma, al contrario, deve concretizzarsi in “un'attività propositiva e di informazione che il medico deve svolgere con riferimento al proprio ambito professionale ed il cui adempimento può essere opportunamente documentato o comunque accertato dal giudice del merito caso per caso”.
Nonostante la sentenza del 2013 abbia costituito un riferimento importante per tutti gli operatori del settore, probabilmente, non tutti gli attori hanno conformato il proprio agire a tale modello. Tant’è che ancora una volta la Corte di Cassazione ha dovuto occuparsi di questo tema nella sentenza n. 38402 pronunciata dalla terza sezione il 9 agosto 2018.
Il caso esaminato in quest’ultima pronuncia riguarda la condanna di un medico competente per il reato di cui agli artt. 25, comma 1, lett. a), e 41, comma 2, in relazione all'art. 58, comma 1, lett. c) del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
Tra i motivi di ricorso l’imputato lamenta che la legge non disciplina le modalità con le quali avrebbe dovuto concretizzarsi la collaborazione del medico col datore di lavoro.
Ancora una volta la suprema Corte spiega che “l'obbligo di collaborazione col datore di lavoro cui è tenuto il medico competente e il cui inadempimento integra il reato di cui agli artt. 25, comma primo, lett. a) e 58, comma primo, lett. c), del D.Lgs. n. 81 del 2008, non presuppone necessariamente una sollecitazione da parte del datore di lavoro, ma comprende anche un'attività propositiva e di informazione da svolgere con riferimento al proprio ambito professionale”.
Ricordando la definizione di valutazione dei rischi la sentenza prosegue affermando “che il datore di lavoro deve essere necessariamente coadiuvato da soggetti quali, appunto, il «medico competente», portatori di specifiche conoscenze professionali tali da consentire un corretto espletamento dell'obbligo mediante l'apporto di qualificate cognizioni tecniche … Del resto, l'importanza del ruolo sembra essere stata riconosciuta dallo stesso legislatore il quale, nel modificare l'originario contenuto dell'art. 58, ha introdotto la sanzione penale solo con riferimento alla valutazione dei rischi”.
E’ quindi necessario un cambio di passo da parte dei medici competenti che debbono integrarsi nel contesto aziendale e rendersi propositivi sfruttando ogni occasione utile quale ad esempio le visite agli ambienti di lavoro (art. 25, lettera I, del D.Lgs 81/08), la sorveglianza sanitaria e la riunione periodica, ma anche prevedendo momenti dedicati all’attività di valutazione.
D’altro canto è necessaria una maggior attenzione da parte degli organi di vigilanza che nei casi in cui accertino carenze nella valutazione dei rischi, con particolare riferimento ai rischi per la salute, devono verificare, anche alla luce degli insegnamenti giurisprudenziali, quale collaborazione abbia offerto il medico competente al processo valutativo. A tal fine una richiesta documentale diretta al medico competente e l’acquisizione di informazioni da persone informate quali ad esempio gli addetti ed il responsabile del servizio di prevenzione e protezione possono costituire la base di una attività di indagine.
"1" definita dall'art. 2, comma 1, lett. q) del d.lgs. 81come la «valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell'ambito dell'organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza»