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GIURISPRUDENZA DELLA CORTE SUPREMA IN TEMA DI TUMORI PROFESSIONALI
Sei anni or sono, Cass. 13 dicembre 2010 n. 43786, celebre come “sentenza Cozzini”, sembrò segnare il declino della giurisprudenza della Corte Suprema in tema di tumori professionali. Ma successivamente numerose, e anche recenti, sentenze valsero a rincuorare (o a deludere) quegli operatori che dopo la sentenza Cozzini avevano temuto (o sperato) questo declino (per i riferimenti v. Guariniello, Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza, ottava edizione, Wolter Kluver, Milano, 2016, 680 s.).
All’improvviso, una sentenza del 3 febbraio 2017 tenta un’impresa ardua, per non dire impossibile: quella di far rivivere gli insegnamenti della sentenza Cozzini, sostenendone la concordanza con le indicazioni accolte nelle sentenza successive.
Questo il caso. Più direttori di stabilimento di una s.p.a. esercente la produzione di polimero poliestere furono imputati sia del reato di cui agli artt. 437 e 449 c.p., per aver “omesso di adottare cautele quali impianti di aspirazione idonei, sistemi di abbattimento delle polveri contenenti amianto ed altre misure di prevenzione ambientali e personali adeguate, e così, per colpa generica e per colpa specifica consistita nella violazione della normativa antinfortunistica, avevano cagionato i decessi di ottantatre lavoratori, dovuti a patologie eziologicamente correlabili all'esposizione professionale all'amianto, nonché lesioni personali ad altri cinque lavoratori, derivando dal fatto un pericolo per la pubblica incolumità”, sia, unitamente a due medici aziendali, del reato di cui all’art. 589 c.p., “per aver cagionato per colpa generica e colpa specifica i menzionati decessi, conseguenti a mesotelioma peritoneale, a mesotelioma pleurico, a tumore al polmone o alla laringe, e a tumore primitivo al fegato (eziologicamente correlato, nella contestazione, a solventi alogenati e a solventi aromatici presenti nello stabilimento), nonché le già indicate lesioni personali, consistenti in tumori polmonari o alla laringe”.
Alcuni dei direttori di stabilimento e uno dei medici competenti furono condannati esclusivamente per l’omicidio colposo in danno di un solo lavoratore deceduto per mesotelioma, e prosciolti per intervenuta prescrizione dall’omicidio colposo in danno di altri due lavoratori anch’essi deceduti per mesotelioma. Tutti, invece, furono assolti dal reato di cui agli artt. 437 e 449 c.p., nonché in rapporto agli altri lavoratori morti per tumori di diversa natura dal reato di omicidio colposo, perché il fatto non sussiste.
La Sez. IV annulla la sentenza impugnata quanto al reato di cui agli artt. 437 e 449 c.p. ai soli effetti civili e quanto al reato di omicidio colposo, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte di appello.
Premette che “non è in discussione, nel presente processo, il fatto che l'amianto sia causa di mesotelioma, e che esiste una correlazione tra l'entità dell'esposizione ed il rischio di ammalarsi”, bensì il “fatto che nella comunità scientifica si sia formato un sufficiente consenso a riguardo dell'effetto acceleratore delle esposizioni successive a quelle che hanno determinato l'insorgenza del processo patogenetico”.
A questo punto, in linea con le argomentazioni difensive degli imputati, la Sez. IV prende atto delle sentenze successive alla Cozzini, ma afferma che “non possa parlarsi di un vero e proprio contrasto tra orientamenti perché tutte le decisioni appena evocate mancano di una preliminare presa di posizione avversa ai principi posti dalla sentenza Cozzini in tema di utilizzo del sapere scientifico nel ragionamento probatorio giudiziale, che anzi richiamano come fonte dei dettami che il giudice di merito deve osservare”. E giunge a sostenere la fondatezza della censura mossa dai difensori degli imputati alla corte di appello “di aver assunto la teoria dell'effetto acceleratore senza osservare i criteri metodologici indicati da questa Corte” (a ben vedere, dalla sentenza Cozzini). Analogo è il discorso svolto in merito alla questione concernente “i tempi del periodo di latenza vera e propria”.
È da segnalare su questi temi l’analisi di segno opposto condotta dalle sentenze successive alla Cozzini. A titolo di esempio, Cass. 24 agosto 2015, in ISL, 2015, 11, 569, insegna che “la responsabilità per gli eventi dannosi legati all'inalazione di polveri di amianto, pur in assenza di dati certi sull'epoca di maturazione della patologia, va attribuita causalmente alla condotta omissiva dei soggetti responsabili della gestione aziendale, anche se per una parte soltanto del periodo di tempo di esposizione delle persone offese, in quanto tale condotta, con riguardo alle patologie già insorte, ha ridotto i tempi di latenza della malattia, ovvero, con riguardo alle affezioni insorte successivamente, ha accelerato i tempi di insorgenza”. Osserva che la corte d’appello ha “correttamente adottato la legge di copertura della ‘dose cumulativa’, inducendo il protrarsi della esposizione alle polveri di amianto per la lunga durata della lavorazione presso la ditta di cui fu dirigente l'imputato a ritenere che tale esposizione abbia influito sulla durata del periodo di latenza con accelerazione dello sviluppo del tumore”. Sottolinea che “è stata, al riguardo, richiamata la letteratura scientifica sostanzialmente convergente sulla circostanza che nella fase di induzione ogni esposizione ha un effetto causale concorrente, non essendo necessario l'accertamento della data dell'iniziale insorgenza (che fa capo alla superata teoria della c.d. dose ‘trigger’) della malattia e, pur non essendovi certezze circa la dose sufficiente a scatenare l'insorgenza del mesotelioma pleurico, è stato comunque accertato che il rischio di insorgenza è proporzionale al tempo e all'intensità dell'esposizione, nel senso che l'aumento della dose è inversamente proporzionale al periodo di latenza: insomma, la scienza medica riconosce un rapporto esponenziale tra dose cancerogena assorbita determinata dalla durata e dalla concentrazione dell'esposizione alle polveri di amianto e risposta tumorale”. Aggiunge che “l'eventuale maggiore suscettibilità personale a contrarre la malattia non può aver alcuna rilevanza scagionante delle omissioni ascritte all’imputato, ponendosi, al massimo, quale concausa acceleratrice dell'attecchimento del tumore: altrimenti, sarebbe come dire che l'omessa adozione di precauzioni doverose antinfettive con conseguente inoculazione di un virus mortale possa essere giustificata dal mero stato fisico particolarmente debilitato del soggetto colpito”.