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LA FIGURA DEL R.S.P.P.: BREVE ANALISI GIURISPRUDENZIALE
Come noto, l’articolo 33 del D.Lgs 81/08 affida al Servizio di Prevenzione e protezione l’incarico di provvedere ai seguenti compiti:
a) all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale;
b) ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive di cui all’articolo 28, comma 2, e i sistemi di controllo di tali misure;
c) ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali;
d) a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;
e) a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonché alla riunione periodica di cui all’articolo 35;
f) a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all’articolo 36.
In merito a tale ruolo è costante l'insegnamento della Corte di Cassazione in base al quale il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri (vds. in particolare Sez. U, n.38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261107).
Ugualmente illuminante è la sentenza della Corte di Cassazione Sez. 4, 22 marzo 2016, n. 12223, ric. Del Mastro e altri, secondo la quale “L’addebito soggettivo dell'evento richiede comunque non soltanto che l'evento dannoso sia prevedibile ma altresì che lo stesso sia evitabile dall'agente con l'adozione delle regole cautelari idonee a tal fine, non potendo essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con valutazione ex ante, non avrebbe potuto comunque essere evitato”, ma al contempo si deve aver conto del fatto che “l'osservanza delle regole di cautela esigibili” vanno riferite all'agente modello e non alla preparazione professionale degli agenti concreti. In particolare, “agente modello è colui che adegua la propria condotta alle conoscenze disponibili nella comunità scientifica e che, se non dispone di queste conoscenze, adempie all'obbligo -
In questo quadro, ormai stabile, si inserisce e fa discutere la sentenza della Cassazione Penale, Sez. 4, 19 luglio 2016, n. 30557. La sentenza riguarda un evento verificatosi il giorno 11 giugno 2008 all'interno dell'impianto di depurazione del Comune di Mineo, dove morirono sei operai rinvenuti all'interno del pozzetto di ricircolo dei fanghi.
In relazione a tali accadimenti è stata esercitata l'azione penale nei confronti di diversi imputati, tra i quali anche il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione della ditta dalla quale dipendevano due operai deceduti.
Al termine dei tre gradi di giudizio la Corte di Cassazione annullando la sentenza della Corte di Appello di Catania, confermava la sentenza assolutoria pronunciata dal Tribunale di Caltagirone nei confronti del RSPP.
Questa pronuncia è stata salutata da alcuni come un nuovo possibile orientamento della Corte, ma non è così.
Intanto occorre osservare come il capo di imputazione non contenesse i riferimenti che tipicamente riguardano la figura di RSPP. Infatti all’imputato si contestava: l'omicidio colposo dei sei operai per colpa generica nonché per violazione di specifiche norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in particolare, di aver omesso di promuovere e coordinare la cooperazione con il datore di lavoro del Comune di Mineo non elaborando il D.U.V.R.I., di non aver fornito ai lavoratori dipendenti impegnati nei lavori per il depuratore i necessari dispositivi di protezione individuale e le attrezzature di lavoro; l'omessa formazione adeguata e specifica dei lavoratori T.S. e S.G. (capo B artt.113,589, commi 1,2 e 3, 40, secondo comma, cod. pen., artt.26 e 18, comma 1, lett.d d. Lgs. n.81/2008).
Come già ricordato il giudice di prime cure aveva assolto il RSPP. dal reato ascrittogli per non aver commesso il fatto, mentre il collegio d’appello lo aveva condannato per il reato di cui al capo B alla pena di anni 3 di reclusione e all'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
La difesa dell’imputato ricorreva per cassazione deducendo vizio di motivazione perchè il giudice di appello, ribaltando la pronuncia assolutoria emessa dal Tribunale, avrebbe trascurato di valutare gli elementi probatori emersi nel giudizio di primo grado. In particolare, imputandosi al responsabile del servizio di prevenzione e protezione di non avere curato la formazione e la vigilanza dei lavoratori.
La Corte di Cassazione dichiara fondato il ricorso, argomentando come segue la propria decisione:
Il Tribunale aveva assolto tale imputato dal reato contestatogli al capo B) sul presupposto che egli avesse adempiuto ai compiti definiti dall'art.33 d. Lgs. n.626/94. In particolare, egli era un collaboratore esterno che si occupava di redigere il documento di valutazione dei rischi per l'attività generica dell'impresa […] nonché per le attività specifiche che di volta in volta gli venivano sottoposte; si occupava anche dell'informazione sui rischi di lavoro ed organizzava sedute periodiche di formazione e informazione per gli operai della ditta. Considerato che non risultava che […] fosse stato informato dell'assunzione di [uno degli operai deceduti], avvenuta il giorno prima dell'infortunio; che il documento di valutazione dei rischi da lui redatto era conforme a quello previsto dalla normativa; che egli non risultava informato sull'attività da svolgere presso il depuratore e che, comunque, nel D.V.R. aveva specificamente previsto le procedure e le precauzioni da seguire in caso di lavori in ambienti con rischio di esalazione di gas, il giudice di primo grado aveva escluso che il RSPP potesse ritenersi responsabile del delitto ascrittogli.
Sul presupposto che il RSPP risponde per mancata elaborazione di informazione e di formazione dei lavoratori tutte le volte in cui l'infortunio sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa ignorata o mal considerata dal responsabile del servizio, la Corte di Appello ha ritenuto che, nel caso concreto, i lavoratori […] non avessero ricevuto un'adeguata formazione. […]. Ignorando le modalità ottimali per eseguire l'intervento loro richiesto, si legge nella sentenza, a causa del difetto di formazione-
[…] a proposito della posizione di garanzia del RSPP, si deve ribadire che i compiti di consulenza spettanti a tale figura professionale L'obbligo di vigilanza sull'effettivo svolgimento dell'attività di formazione/informazione dei lavoratori è, infatti, strettamente inerente all'osservanza della normativa antinfortunistica che la legge pone a carico di soggetti diversi dal RSPP. Dalla normativa di settore (artt.8, commi 3 e 10, d.lgs. n.626/94, ora art.31, commi 2 e 5, d. Lgs. n.81/2008), emerge che i componenti del servizio di prevenzione e protezione, essendo considerati dei semplici ausiliari del datore di lavoro, non possono venire chiamati a rispondere direttamente del loro operato, proprio perché difettano di un effettivo potere decisionale. Essi svolgono compiti di consulenza ed i risultati dei loro studi e delle loro elaborazioni, come in qualsiasi altro settore dell'amministrazione dell'azienda, vengono fatti propri dal vertice che li ha scelti sulla base di un rapporto di affidamento liberamente instaurato e che della loro opera si avvale per meglio ottemperare agli obblighi di cui è esclusivo destinatario (Sez. F, n.32357 del 12/08/2010, Mazzei, Rv. 247996). Ciò non esclude che anche al RSPP possano essere ascritte responsabilità in materia, ma i casi che hanno comportato l'affermazione di responsabilità di tale figura professionale riguardano, per lo più, l'omessa individuazione di un rischio o l'omessa segnalazione di una situazione pericolosa la cui conoscenza avrebbe messo il datore di lavoro nella condizione di evitare l'evento (Sez. 4, n.32195 del 15/07/2010, Scagliarini, Rv. 248555; Sez. 4, n. 16134 del 18/03/2010, Santoro, Rv. 247098; Sez. 4, n. 1834 del 16/12/2009, dep.2010, Guarnotta, Rv. 245999; Sez. 4, n. 37861 del 10/07/2009, Pucciarini, Rv. 245276; Sez. 4, n. 27420del 20/05/2008, Verderosa, Rv. 240886), omissioni non accertate nel caso concreto.”
Orbene, pur nel rispetto della pronuncia della Suprema Corte non sfugge un salto logico che probabilmente non è stato correttamente posto all’attenzione dei Giudici. Sebbene sia pacifico che non rientri tra i compiti del Servizio di Prevenzione Protezione la vigilanza sull'effettivo svolgimento delle attività di formazione e di informazione dei lavoratori appare altrettanto ovvio che il mancato svolgimento di tali attività costituisca di per se una condizione di aggravamento dei rischi che il RSPP dovendo individuare e valutare avrebbe dovuto segnalare al datore di lavoro.